Home Società e imprese Il recesso consensuale dalla S.r.l.

Il recesso consensuale dalla S.r.l.

1763
0

I soci di una società a responsabilità limitata, con delibera assunta all’unanimità, possono consentire la liquidazione di uno di essi con denaro o beni sociali (c.d. recesso “consensuale”), anche qualora non si sia verificata alcuna causa legale o convenzionale di recesso.

Il rimborso del socio potrà essere effettuato utilizzando riserve disponibili, o, in mancanza, riducendo il capitale sociale.

Non trattandosi di recesso in senso proprio:

a) l’opposizione dei creditori sociali, ai sensi dell’art. 2482 c.c., impedisce la liquidazione della quota e non determina lo scioglimento della società;

b) l’entità del rimborso spettante al socio uscente è liberamente negoziabile e non deve essere determinata nel rispetto dei criteri stabiliti nell’art. 2473 c.c.

La questione

Negli ultimi anni la prassi ha evidenziato la ricorrente volontà di permettere al socio di società a responsabilità limitata di “recedere” con il consenso di tutti gli altri, seppur in assenza di uno dei presupposti legali o statutari che legittimano l’esercizio del diritto di exit.

Si parla, in proposito, di “recesso consensuale”, volto a consentire la liquidazione del socio uscente con risorse attinte dal patrimonio sociale, a fronte dell’impossibilità di, o anche solo dell’indisponibilità a, reperire acquirenti della partecipazione, sia fra gli altri soci sia fra i terzi.

Si ritiene che tale soluzione sia legittima, per le ragioni ed alle condizioni che vengono di seguito esposte.

Le regole di disinvestimento nella società a responsabilità limitata

Dato atto che il recesso rappresenta una tecnica di disinvestimento(1), si rileva innanzitutto che, normativamente, la soddisfazione di tale esigenza economica è affidata alla regola naturale della libera circolazione della partecipazione per atto fra vivi (art. 2469, comma 1, c.c.). In altri termini, il c.d. mercato secondario è il luogo di elezione nel quale il socio investitore deve tentare di liquidare la sua partecipazione, al fine di evitare che il diritto al disinvestimento si traduca inevitabilmente nella sottrazione di parte delle risorse destinate, e quindi vincolate, all’esercizio dell’attività di impresa. Diritto di disinvestire e scelta del mercato secondario come luogo privilegiato di suo esercizio rappresentano opzioni di fondo che colorano la disciplina della società a responsabilità limitata, come evidenziato dalla stessa sequenza delle tecniche di liquidazione del socio receduto contemplata nell’art. 2473 c.c., che privilegia l’acquisto della partecipazione da parte di terzi e soci rispetto all’impiego di risorse tratte dal patrimonio sociale. L’opzione per il mercato secondario rappresenta tuttavia un’indicazione di preferenza, non una regola inderogabile. L’autonomia privata può impedire tale chance mediante la regola statutaria dell’intrasferibilità della partecipazione. Non si può invece precludere il diritto del socio di disinvestire.

Se la trasferibilità della partecipazione è statutariamente esclusa (divieto assoluto) o rimessa all’altrui volontà (gradimento mero), come concede l’art. 2469 c.c., ogni socio ha diritto di recedere, ovvero di disinvestire senza ricorrere al mercato secondario, come stabilito dalla stessa norma. Se ne desume, innanzitutto, che l’ordinamento concede all’autonomia privata di porre regole che hanno come effetto quello di spostare la liquidazione della partecipazione del singolo socio, in funzione di disinvestimento, dal “mercato secondario” al “mercato primario”, distraendo potenzialmente risorse destinate all’esercizio dell’impresa sociale. Si può anche pacificamente stabilire che la partecipazione non è trasferibile (ovvero negoziabile sul mercato secondario) senza il consenso unanime degli altri soci, o della maggioranza di essi. La scelta organizzativa, di fatto, consegna alla discrezionalità dei soci (diversi da quello che intende disinvestire) l’alternativa fra liquidazione della partecipazione sul mercato secondario e liquidazione attuata, eventualmente, avvalendosi di mezzi patrimoniali della società, seppur nei limiti previsti dall’art. 2473 c.c. Infatti, in caso di diniego al trasferimento della partecipazione, la legge riconosce al socio il diritto potestativo al disinvestimento da attuare mediante applicazione delle regole di liquidazione fissate nell’art. 2473 c.c.: conseguenza di una scelta degli altri soci. Dunque, non si ravvisano ragioni sistematiche per escludere che, pur in assenza di un presupposto legale o statutario, i soci possano consentire ad uno di essi di disinvestire non sul mercato secondario, ma avvalendosi delle tecniche di liquidazione previste nell’art. 2473 c.c., anche mediante distrazione di risorse destinate all’esercizio dell’impresa sociale, nei limiti fissati dalla stessa norma. La ricostruzione proposta può forse trovare ulteriore conforto negli argomenti di coloro che ammettono la possibilità di prevedere statutariamente il recesso ad nutum, scelta che consegna ad ogni socio il diritto (e non solo la possibilità) di disinvestire senza ricorrere al mercato secondario, come peraltro concesso dallo stesso legislatore tramite la facoltà di non prevedere termini di durata della società. Nel senso indicato militano certamente gli orientamenti che consentono la riduzione reale del capitale in misura non proporzionale, purché all’unanimità(2): soluzione che in definitiva consente di avvantaggiare uno o alcuni soci sul piano del disinvestimento.

Necessità e ragioni del consenso unanime degli altri soci

Ammessa la legittimità sistematica della scelta di liquidare il socio avvalendosi delle tecniche contemplate nell’art. 2473 c.c., si ritiene che la soluzione non sia praticabile senza il consenso unanime degli altri soci. Per coloro che privilegiano la persistenza della dimensione contrattuale della società anche successivamente all’iscrizione nel registro delle imprese, deve infatti trovare applicazione nella fattispecie l’art. 1372 c.c.:il “recesso consensuale” altro non sarebbe se non un atto di mutuo dissenso parziale. Anche qualora si valorizzi la dimensione organizzativa, come pare preferibile, resta comunque ferma la necessità del consenso unanime, dovuta alla necessità di rispettare il principio di parità di trattamento fra soci che la fattispecie determina, e quindi dalla necessità di rinunziarvi preventivamente(3).

Nella circostanza, infatti, ad un socio è concesso disinvestire, anche a spese del patrimonio sociale; gli altri non godono di ugual diritto. È su questo piano che si apprezza, nella prospettiva del presente orientamento, la differenza sostanziale rispetto al diritto di recesso discrezionale allorché la società ha durata indeterminata (e rispetto al recesso ad nutum in generale): la facoltà di disinvestimento non spetta a tutti indiscriminatamente.

Precisazione terminologica e conseguenze sul piano della disciplina della liquidazione

Urge infine una puntualizzazione terminologica. La fattispecie non realizza un recesso dalla società, se a tale definizione di ascrive il corretto significato di diritto individuale potestativo di ottenere la liquidazione della partecipazione. Nelle circostanza, infatti, non vi è alcun diritto; si tratta piuttosto di una concessione. La diversa causa dell’attribuzione patrimoniale al socio uscente incide anche sulla disciplina applicabile alla liquidazione. Non vi è dubbio che debbano applicarsi anche alla fattispecie sia le norme sul recesso che identificano le parti del patrimonio netto utilizzabili a tal fine (riserve disponibili e capitale), sia l’art. 2482 c.c. qualora si ricorra alla riduzione del capitale sociale, poiché si tratta di regole poste a tutela degli interessi dei terzi creditori. Con una precisazione: qualora i creditori facciano opposizione, e non risulti possibile il rimborso della partecipazione del socio uscente, la società non verrà posta in liquidazione, come prevede l’art. 2473 c.c., ma, più semplicemente, non si procederà alla liquidazione del socio, che resterà nella compagine sociale. La disposizione dell’art. 2473 c.c., infatti, rappresenta la regola di composizione del conflitto che sorge fra due diritti, quello del socio recedente e quello dei creditori sociali. La mediazione fra gli interessi confliggenti è reperita nel ricorso al disinvestimento collettivo, che ripristina l’ordine naturale di soddisfazione sul patrimonio sociale: in primo luogo i creditori sociali, e poi, nei limiti di ciò che residua, i soci, investitori di capitale di rischio. Nella fattispecie in esame non concorrono due diritti legalmente riconosciuti, poiché tale natura non è ascrivibile, come visto, al “recesso consensuale”. Ne deriva che, qualora sia necessario ridurre il capitale sociale, la possibilità di veder liquidata la propria partecipazione dalla società medesima è condizionata alla mancata opposizione dei creditori, alla stregua di quanto accadrebbe in ogni altro caso di riduzione reale del capitale sociale ex art. 2482 c.c., che disciplina un’ipotesi di disinvestimento collettivo, seppur parziale, il quale, in definitiva, condivide la causa (disinvestimento volontario) dell’attribuzione oggetto del presente orientamento.


(1) Per tutti: Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Tratt. Schlesinger, I, Milano, 2010, 777; in termini di funzione anche di disinvestimento Revigliono, Il recesso nella società a responsabilità limitata, Milano, 2008, 6, per il quale il recesso da “un lato, realizza una fondamentale ed unitaria funzione di disinvestimento della partecipazione, d’altro lato è destinato ad assumere diversi significati e a realizzare diverse funzioni in relazione ai diversi assetti che stanno alla base di numerose ipotesi considerate espressamente dal legislatore”. Nella medesima logica De Nova, Il diritto di recesso del socio di società per azioni come opzione di vendita, in Riv. dir. priv., 2004, 329; Piscitel-lo, Recesso ed esclusione, Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2006, 734; Garcea, Profili procedimentali del recesso, in S.r.l. commentario, a cura di DolmettaPresti, Milano, 2011, 486-487.

(2) In tal senso Spolidoro, La riduzione del capitale esuberante, in Trattato delle Società per Azioni, G.E. Colombo-G.B. Portale, 6*, Torino, 1993, 238, sulla base della considerazione che il principio di parità di trattamento è “disposto nell’esclusivo interesse dei soci e pertanto essi possono rinunziarvi”; Nobili, La riduzione del capitale, in Il nuovo diritto societario, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, 3, Torino, 2006, 308.

(3) In tal senso si possono richiamare le riflessioni e le conclusioni cui perviene la dottrina, citata nella precedente nota, che ammette la legittimità della riduzione reale non proporzionale del capitale sociale.

Fonte: Massima n. 53 Consiglio Notarile di Firenze, Pistoia e Prato

Rispondi