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L’imposta di registro nella cessione d’azienda

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La cessione d’azienda o di ramo d’azienda costituisce un’operazione rilevante ai fini dell’imposta di registro ai sensi degli art. 2 e 3 primo comma , lett. b) d.p.r. n. 131/86 e dell’allegata tariffa, parte I, art. 1 e 2 ed in virtù del principio di alternatività tra Iva e registro disciplinato dall’art. 40 del d.p.r. 131/86.

La ratio dell’esclusione dalla base imponibile IVA della cessione del compendio aziendale, deriva dal fatto che oggetto del trasferimento è un elemento patrimoniale e non un’operazione economica.

Definizione di azienda

L’azienda, così come definita dal codice civile, è un complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, mentre l’impresa è l’attività esercitata dallo stesso.

La cessione d’azienda

In base alle norma del codice civile, la cessione d’azienda,  dev’essere redatta in forma scritta, alternativamente, mediante atto pubblico o scrittura privata autentica. E’ dunque necessario l’intervento del Notaio, pur se in questi giorni si sta discutendo alla Camera un emendamento al progetto di legge sulle semplificazioni fiscali (AC 1074) con cui si estenderebbe la competenza ad avvocati e commercialisti. Emendamento che dopo il pressing dei notai ha già subito una riduzione del perimetro d’azione alle sole ditte individuali, ma staremo a vedere cosa succederà nei prossimi giorni.

Si parla di cessione d’azienda quando il trasferimento abbia ad oggetto un complesso di beni organizzati anche se non attualmente, ma solo potenzialmente per l’esercizio dell’attività d’impresa; comunque, sarà necessario che il complesso di beni sia già organizzato come tale dal precedente imprenditore

Il valore di cessione

Il valore di cessione è quello “dichiarato dalle parti nell’atto o se superiore il valore venale in comune commercio”. Il valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento, va calcolata al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie.

Attenzione sul punto è intervenuta una recente sentenza della Cassazione (ordinanza n. 9209/2019) che ha stabilito:
la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che, in caso di conferimento in una società di beni immobili, diritti immobiliari od aziende, la base imponibile ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro va determinata deducendo dai beni e diritti conferiti solo ed unicamente le passività e gli oneri inerenti all’oggetto del trasferimento stesso e non anche le passività e gli oneri che, pur gravanti sull’immobile conferito, non possono dirsi assunte dalla società conferitaria per finalità connesse al perseguimento del proprio oggetto sociale (cfr. Cass. n. 475 del 2018; Cass. n. 9580 del 2013)“.

Aliquote di imposta

La cessione d’azienda è soggetta all’imposta proporzionale del 3% sul valore dell’azienda, ad eccezione del valore degli immobili che saranno assoggettati alla tassazione secondo il valore venale in comune commercio.

La base imponibile sarà data dal maggiore tra i seguenti valori:

  • valore venale in comune commercio al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa, ai sensi dell’art. 51 co. 4 del T.U.R ;
  • prezzo della cessione.

Nel caso in cui l’azienda ceduta sia composta da beni soggetti ad aliquote diverse, ad esempio l’avviamento (3%) e gli immobili (9%), e le parti abbiano pattuito un corrispettivo unico, senza alcuna distinzione in merito al valore attribuibile ai singoli beni, l’imposta si calcola applicando all’unico corrispettivo l’aliquota più elevata (art. 23, comma 1, DPR 131/86).

Valutazione del valore dell’azienda da parte degli Uffici Finanziari

Gli atti registrati aventi ad oggetto la cessione di aziende sono sempre soggetti a valutazione dagli Uffici Finanziari per verificare la congruità del valore dichiarato. Gli Uffici Finanziari entro due anni dal pagamento dell’imposta dovuta per il trasferimento dell’asset, come previsto dall’art. 76, comma 1-bis, TUR, possono dar luogo ad un accertamento (mediante accessi, ispezioni e verifiche).

Fabbricati e terreni agricoli

Se la cessione riguarda fabbricati e terreni agricoli l’art. 52, comma 4, TUR stabilisce che non è soggetto a rettifica il valore dichiarato di questi beni se non è rispettivamente inferiore a 75 volte il reddito dominicale (terreni agricoli), e 100 volte il reddito risultante in catasto (fabbricati).

Ne consegue che se il valore indicato in atto per la cessione di un terreno agricolo o di un fabbricato è almeno pari al calcolo di cui sopra l’A.F. non potrà mai rettificare l’imponibile.

Aree Fabbricabili

Se la cessione riguarda aree fabbricabili, il valore indicato in atto, per evitare eventuali contestazioni, dovrà essere pari al valore di mercato.

Beni immobili

Nella determinazione del valore di mercato dei beni immobili si dovrà tenere conto dell’art. 1 co. 307 della L. 296/06 ove è previsto che per la uniforme e corretta applicazione dell’art. 52 del T.U.R sono individuati periodicamente i criteri per la determinazione del valore normale. Con provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 27 luglio 2007 sono stati indicati i citati criteri per la determinazione di tale valore ai sensi dell’art. 51 co. 3 del d.p.r. 131. Detto provvedimento indica un valore fisso rappresentato dalle quotazioni Omi, da una serie di fattori variabili relativi alle peculiari caratteristiche del fabbricato (es. livello del piano, categoria catastale ed altri elementi, prezzi effettivamente praticati, prezzi che emergono dagli accertamenti effettuati, prezzi applicabili per offerte di vendita, prezzi che emergono da offerte al pubblico, e ristrutturazioni).

Beni mobili e diritti

I beni mobili ed i diritti sono valutati tenendo conto delle risultanze di eventuali accertamenti compiuti ai fini di altre imposte.

Avviamento commerciale

Sotto il profilo fiscale la determinazione del valore da attribuire all’avviamento è certamente un aspetto rilevante anche in considerazione del rischio di un eventuale accertamento. E’ necessario evidenziare che le metodologie elaborate dalla dottrina aziendalistica e dall’amministrazione finanziaria per determinare il valore dell’avviamento sono molteplici e possono condurre a risultati diametralmente diversi.

Con il d.p.r. del 31 luglio 1996 n. 460 sono stati introdotti i criteri omogenei di quantificazione del valore dell’avviamento. Tale normativa ha avuto il pregio di stabilire le modalità per fissare il valore oggetto di adesione quando il bene trasferito sia un’azienda.

Tuttavia, il d.lgs. 19 giugno 1997 n. 218 ha abrogato il metodo di calcolo introdotto con il d.p.r. del 31 luglio 1996 n. 460 in attuazione delle disposizioni relative all’accertamento per adesione.

La circolare dell’8 agosto 1997 n. 235, con riferimento all’accertamento con adesione (d.lgs. n. 218/97) rinviava a successive indicazioni i criteri di determinazione dell’avviamento delle aziende, ma detti criteri non sono stati mai forniti e attualmente l’amministrazione finanziaria nella determinazione dell’avviamento ricorre sovente all’utilizzo dei criteri tratti dal predetto regolamento di cui al d.p.r. del 31 luglio 1996 n. 460.

D.p.r. del 31 luglio 1996 n. 460

L’art. 2 DPR 460/1996 si basa sul rapporto tra la media dei redditi e della redditività degli ultimi tre esercizi dell’azienda trasferita, moltiplicata per un determinato coefficiente.

L’art. 2 comma 4° del DPR 460/96 recitava:

“Per le aziende e per i diritti reali su di esse il valore dell’avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi di imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3. La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito di impresa e i ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo. Il moltiplicatore è ridotto a 2 nel caso in cui emergano elementi validamente documentati e, comunque, nel caso in cui ricorra almeno una delle seguenti situazioni:
a) l’attività sia stata iniziata entro i tre periodi d’imposta precedenti a quello in cui è intervenuto il trasferimento;
b) l’attività non sia stata esercitata, nell’ultimo periodo precedente a quello in cui è intervenuto il trasferimento, per almeno la metà del normale periodo di svolgimento dell’attività stessa;
c) la durata residua del contratto di locazione dei locali, nei quali è svolta l’attività, si a inferiore a dodici mesi.”

Gli impianti e i macchinari

L’art. 24 comma 1, del T.U.R. prevede che nei trasferimenti immobiliari le accessioni i frutti pendenti e le pertinenze si presumono trasferiti all’acquirente dell’immobile a meno che non siano espressamente esclusi dalla vendita o si dimostri con atto registrato che siano di proprietà di un soggetto terzo. La disposizione contiene una presunzione iuris tantum suscettibile, quindi, di prova contraria.

Metodologia accertamento

Pur se a livello normativo la norma è stata abrogata, nella prassi il valore di avviamento delle aziende viene determinato:
– sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore;
– in difetto, “sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3”. Il criterio previsto dall’abrogato art. 2, co. 4, d.p.r. 460/96 costituisce, di conseguenza, allo stato, l’unico metodo “parametrizzato” a disposizione dell’amministrazione e del contribuente.

La cessione del marchio

Con la risoluzione 3 aprile 2006 n. 48/E l’Agenzia delle entrate ha fatto chiarezza sul trattamento applicabile al trasferimento del marchio prevedendo che:

  • il marchio ceduto al di fuori della cessione dell’azienda costituisce prestazione di servizi e come tale il trasferimento dello stesso verrà assoggettato ad Iva.
  • la cessione del marchio nell’ambito di una cessione di azienda (intesa, quindi, come universalità dei beni aziendali) perde la sua individualità per fondersi con l’azienda di cui è parte, pertanto verrà assoggettato ad imposta di registro.

Le imposte sui redditi

La cessione a titolo oneroso (alla quale, in questo caso, in deroga al principio generale, non può essere assimilato il conferimento) comporta la tassazione della plusvalenza in capo al cedente, con possibilità di rateizzazione della stessa, in base alla normativa sul reddito d’impresa, ove questa rimanga applicabile al soggetto cedente, ovvero, in alternativa, con applicazione opzionale della tassazione separata, che deve essere richiesta dal contribuente imprenditore, mentre è normalmente applicabile, salvo rinuncia, al soggetto perda, al momento della cessione, la qualifica di imprenditore.

La rilevanza del valore fiscale della cessione d’azienda definito per l’imposta di registro ai fini delle imposte dirette

In tema di tassazione di plusvalenze derivanti da cessione di azienda a titolo oneroso, non è più legittima, la presunzione solo sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro (Cass. Civ., n. 6135/2016; Cass.Civ., n. 11543 del 2016) ai fini della determinazione della plusvalenza ricavata dalla cessione di immobile o di azienda.

La Cassazione con l’ordinanza n. 958/2019 ha precisato che “l’art. 5, comma 3, del d.lgs. 147/2015, esclude l’accertamento induttivo della plusvalenza ricavata dalla cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale. Precisazione di recente confermata dalla stessa Cassazione con l’ordinanza n. 8636 del 28/03/2019.

I crediti tributari dell’azienda ceduta

Con la risoluzione 27 settembre 2007, 268/E, l’agenzia ha precisato che il cessionario di azienda può compensare mediante versamento unico a mezzo di modello F24 il credito IVA da esso vantato, e già riservato all’utilizzo mediante compensazione, con i debiti fiscali e previdenziali riferibili all’azienda ceduta e maturati in capo al precedente titolare della stessa.

I debiti tributari dell’azienda ceduta e la responsabilità del cessionario d’azienda

L’art. 14 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 prevede la responsabilità del cessionario dell’azienda, salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente entro i limiti del valore dell’azienda in relazione al pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nello stesso periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.

L’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante alla data del trasferimento dagli atti dell’amministrazione finanziaria, senza che assuma rilievo l’elemento formale della sua iscrizione nelle scritture contabili.

Gli uffici sono tenuti a rilasciare su richiesta dell’interessato un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di quelle definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Pur se la norma non indica il soggetto preposto ad avanzare la richiesta (“l’interessato”), la prassi ha “allargato” la legittimazione anche al cessionario in fieri , richiedendo – però – in tal caso, che “il cedente in fieri manifesti esplicitamente il proprio consenso alla richiesta del certificato da parte di terzi”.

Il certificato negativo ha effetto liberatorio, in ogni caso il cessionario sarà ugualmente liberato se il certificato non verrà rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta (c.d. silenzio assenso).

RICHIESTA CERTIFICAZIONE DEI CARICHI PENDENTI

Nel caso di stipula immediata – stante la difficoltà di ottenere dagli uffici finanziari la certificazione liberatoria – a livello operativo si potrà ipotizzare il rilascio da parte del cedente di un’apposita fideiussione o di una somma di denaro adeguata, quale cauzione.

Responsabilità per debiti aziendali. 

In caso di trasferimento di azienda, la disciplina della sorte dei debiti aziendali è contenuta nell’articolo 2560 c.c.

L’alienante, recita il primo comma di detto articolo, “non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito“.

Il legislatore riconosce alle parti la scelta di pattuirne il trasferimento al cessionario, la loro permanenza – in tutto o in parte – in capo all’alienante o una ripartizione pro quota fra gli stessi.

La responsabilità ex lege dell’acquirente – per i (soli) debiti risultanti dai libri contabili obbligatori, con l’eccezione dei debiti di lavoro, per i quali alienante e acquirente, anche di aziende non commerciali, sono comunque obbligati in solido, salvo la facoltà riconosciuta al lavoratore di consentire la liberazione dell’alienante con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 c.p.c. (articolo 2112 c.c.). – implica che i creditori sono legittimati a richiedergli la prestazione dovuta, senza che l’assetto di interessi contrattualmente ipotizzato incida sulla singola fattispecie.

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