L’Inps, con il messaggio n. 3359 del 17/09/2019 ha illustrato il consolidato orientamento formatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità in ordine alla compatibilità tra la titolarità di cariche sociali e l’instaurazione, tra la società e la persona fisica che l’amministra, di un autonomo e diverso rapporto di lavoro subordinato, atteso che il riconoscimento di detto rapporto esplica effetto ai fini delle assicurazioni obbligatorie previdenziali e assistenziali.
Fa presente l’Inps che, secondo la Suprema Corte (cfr. le sentenze n. 18476/2014 e n. 24972/2013) “l’essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando in tale rapporto sussistano le caratteristiche dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di
amministrazione dell’ente”.
La carica di presidente – dipendente
In altri termini, la carica di presidente, in sé considerata, non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato poiché anche il presidente di società, al pari di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale (cfr., tra le altre, Cass. n. 11978/2004, n. 1793/1996 e n. 18414/2013).
Tale affermazione non è neppure contraddetta dall’eventuale conferimento del potere di rappresentanza al presidente, atteso che tale delega non estende automaticamente allo stesso i diversi poteri deliberativi.
L’amministratore unico – dipendente
Diversamente accade per l’amministratore unico della società, che, è detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina. In questo caso, l’assenza di una relazione intersoggettiva, suscettibile – almeno astrattamente – di una distinzione tra la posizione del lavoratore in qualità di organo direttivo della società e quella del lavoratore come soggetto esecutore delle prestazioni lavorative personali (che, di fatto, dipendono dallo stesso organo direttivo), ha portato i giudici a sancire un principio di non compatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società e la carica di amministratore unico della medesima (cfr., ex plurimis, Cass. civ. n. 24188/2006).
L’amministratore delegato – dipendente
Per quanto concerne l’amministratore delegato, si fa presente che la portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione a tale organo (che, come noto, può essere generale e, come tale, implicante la gestione globale della società ovvero parziale, qualora vengano delegati limitati atti gestori) sarà rilevante ai fini dell’ammissibilità o meno della coesistenza della carica con quella di lavoratore dipendente.
Nelle ipotesi in cui l’amministratore sia munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del consiglio di amministrazione si ritiene, pertanto, che sia esclusa la possibilità di intrattenere un valido rapporto di lavoro subordinato con la società per detto soggetto.
Diversamente, l’attribuzione da parte del consiglio di amministrazione del solo potere di rappresentanza ovvero di specifiche e limitate deleghe all’amministratore non è ostativo, in linea generale, all’instaurazione di genuini rapporti di lavoro subordinato.
In ogni caso, ai fini della valutazione dell’ammissibilità di detti rapporti, sono altresì rilevanti i rapporti intercorrenti fra l’organo delegato e il consiglio di amministrazione, la pluralità ed il numero degli amministratori delegati e la facoltà di agire congiuntamente o disgiuntamente, oltre – naturalmente – alla sussistenza degli elementi caratterizzanti il vincolo di subordinazione.
Socio unico – dipendente
La configurabilità del rapporto di lavoro subordinato è, inoltre, da escludere con riferimento all’unico socio, giacché la concentrazione della proprietà delle azioni nelle mani di una sola persona esclude – nonostante l’esistenza della società come distinto soggetto giuridico – l’effettiva soggezione del socio unico alle direttive di un organo societario.
Parimenti, il socio che abbia assunto di fatto nell’ambito della società l’effettiva ed esclusiva titolarità dei poteri di gestione, tanto da risultare “sovrano” della società stessa, non può assumere contemporaneamente anche la diversa figura di lavoratore subordinato (cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, n. 21759/2004) essendo esclusa la possibilità di ricollegare ad una volontà “sociale” distinta la costituzione e gestione del rapporto di lavoro.
In linea generale, sempre con riguardo alla figura del socio di società di capitali che assommi in capo a sé anche l’incarico di amministratore, si ricorda che detta semplice circostanza – ancorché possa essere sintomatica della non sussistenza del vincolo di subordinazione – non è di per sé sufficiente a concludere per la non configurabilità del rapporto di lavoro subordinato, in quanto in tali fattispecie, secondo la Suprema Corte, sono da vagliare disgiuntamente, caso per caso, sia la condizione di possessore di parte del capitale sociale sia l’incarico gestorio, tenendo conto delle istruzioni fornite dall’Istituto anche nell’ambito del presente messaggio.
Pertanto, una volta stabilita l’astratta possibilità di instaurazione, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, di un autonomo e parallelo diverso rapporto che può assumere le caratteristiche del lavoro subordinato, dovrà accertarsi in concreto l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico e che tali attività siano contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione (cfr., ex plurimis, Cass. civ. n. 1399/2000, n. 329/2002 e n. 12630/2008).
Con particolare riferimento al requisito del vincolo di subordinazione, quale elemento tipico qualificante del rapporto di lavoro ex art. 2094 c.c., la Corte ha sottolineato che chi intende farlo valere ha l’onere di provare in modo certo l’assoggettamento nonostante le suddette cariche sociali – al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso, il quale, inevitabilmente, limita la libertà di azione e di scelta nell’esercizio della funzione e dell’attività lavorativa del dipendente (cfr. Cass. civ. n. 24972/2013, n. 18476/2013 e n. 18414/2013).
Anche di recente la giurisprudenza di legittimità (Cass. 3 aprile 2019, n. 9273, confermativa di Cass. n. 29761/18, e n. 19596/16), nel ribadire il principio secondo il quale le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili, purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale, ha altresì individuato, in capo al soggetto che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato, l’obbligo di fornire la prova del vincolo di subordinazione, cioè l’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società.
Altri elementi sintomatici della subordinazione
Ai fini dell’accertamento del rapporto di lavoro dipendente si terrà conto della sussistenza anche di altri elementi sintomatici della subordinazione individuati dalla giurisprudenza e riproposti dalla prassi amministrativa adottata dall’Istituto (cfr. le circolari n. 179/1989 e n. 117/1983), quali la periodicità e la predeterminazione della
retribuzione, l’osservanza di un orario contrattuale di lavoro, l’inquadramento all’interno di una specifica organizzazione aziendale, l’assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale, l’assenza di rischio in capo al lavoratore, la distinzione tra importi corrisposti a titolo di retribuzione da quelli derivanti da proventi societari, etc. (cfr.
Cass. n. 5886/2012).
È necessario, peraltro, che la costituzione e gestione del rapporto di lavoro siano ricollegabili ad una volontà della società distinta dal soggetto titolare della carica (amministratore, etc.).
Tutto ciò premesso, la valutazione della compatibilità dello status di amministratore di società di capitali (il riferimento è alle sole tipologie di cariche ritenute in astratto ammissibili) con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato presuppone l’accertamento in concreto, caso per caso, della sussistenza delle seguenti condizioni:
- che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno;
- che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;
- il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società;
- in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.