Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110 cod. civ., comma 2.
Lo ha stabilito la Cassazione Sez. Un. Civili, del 22 Maggio 2018, n. 12568.
Motivazioni
[…] come questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr. Cass. n. 18411/16; Cass. n. 24899/11), fermo restando il potere datoriale di recedere non appena esaurito il periodo comporto e, quindi, anche prima del rientro al lavoro del dipendente, nondimeno il datore di lavoro ha altresì la facoltà di attendere tale rientro per sperimentare in concreto se residuino o meno margini di riutilizzo del lavoratore all’interno dell’assetto organizzativo, se del caso mutato, dell’azienda.
Ne deriva che solo a decorrere dal rientro in servizio del lavoratore l’eventuale prolungata inerzia datoriale nel recedere dal rapporto può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinunciare all’esercizio del potere di licenziamento e, quindi, ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente.
Nè un’eventuale errore di calcolo del termine massimo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva – errore che abbia indotto il datore di lavoro ad anticipare il licenziamento rispetto al reale momento di esaurimento di tale periodo – impedisce che il licenziamento, nullo, possa poi essere tempestivamente rinnovato una volta che le assenze del lavoratore effettivamente superino il termine massimo di conservazione del posto di lavoro.
Infatti, all’interno della stessa giurisprudenza che afferma la nullità – e non la mera inefficacia – del licenziamento intimato prima che il periodo di comporto si sia esaurito, emerge altresì la statuizione che consente il rinnovo dell’atto di recesso una volta che sopraggiunga la scadenza del temine massimo di comporto, atteso che il nuovo licenziamento, risolvendosi in un negozio diverso dal precedente, esula dal divieto di cui all’art. 1423 cod. civ. (cfr. Cass. n. 24525/14).