Da luglio non sarà più possibile il pagamento dello stipendio in contanti: confermata la tracciabilità della busta paga in un’ottica di trasparenza e lotta all’evasione fiscale.
La proposta di legge (atto camera 1041), presentata nel 2013, con modificazioni, è diventata legge con l’introduzione del comma 910 e seguenti all’art. 1 della Legge di Bilancio 2018 (Legge 205 del 27 dicembre 2017).
Stando ai dati Censis-Confcooperative i lavoratori che subiscono questo abuso sono oltre tre milioni: in molti casi il salario risultante da busta paga è di 16 euro l’ora mentre all’atto pratico ne ricevono otto, quindi il divieto di pagamento dello stipendio in contanti punta a mettere fine alla pratica di costringere i lavoratori ad accettare buste paga di importo superiore a quello ricevuto.
Dal 1° luglio lo stipendio è tracciabile e “trasparente”.
Per impedire la mancata corrispondenza tra quanto risultante in busta paga e quanto effettivamente corrisposto al dipendente è sufficiente che le buste paga siano tracciabili. A tal fine è necessario che quanto sia stato versato dal datore di lavoro ai dipendenti abbia un riscontro poiché la firma della busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
Quali sono gli strumenti tracciabili?
Il datore di lavoro o l’azienda, dunque, dovrà pagare il dipendente, ad esempio:
- con assegno;
- ricaricando una carta di credito;
- presso la posta;
L’obbligo di pagamento stipendio con metodo tracciabile quindi non è legato all’importo della retribuzione: se anche questa fosse inferiore al limite fissato per i pagamenti in contanti, il datore di lavoro resterebbe da luglio obbligato a pagare il dipendente con bonifico, elettronico (ovvero su carta di credito), assegno etc.
Chi paga gli stipendi in contanti rischia una sanzione pecuniaria da 1.000 a 5.000 euro (comma 913 della legge approvata).
Rapporti di lavoro interessati
La nuova disciplina interessa i seguenti rapporti di lavoro:
- contratto di lavoro a tempo indeterminato;
- contratto di lavoro a tempo determinato o contratto a termine, anche part-time:
- contratto di lavoro a tempo parziale o part-time;
- contratto di apprendistato;
- collaborazione coordinate e continuative o cococo;
- lavoro intermittente o accessorio o a chiamata;
- contratti di lavoro con soci di cooperative;
- e qualsiasi rapporto di lavoro subordinato.
Lavoratori interessati
A detta dei promotori dell’introduzione del divieto di pagamento degli stipendi in contanti, si tratta di una “soluzione” a un problema che colpisce moltissimi lavoratori. È infatti noto che alcuni datori di lavoro, sotto il ricatto del licenziamento o della non assunzione, corrispondono ai lavoratori una retribuzione inferiore ai minimi fissati dalla contrattazione collettiva violando la loro dignità e un loro diritto a una giusta retribuzione, in violazione degli articoli 1, 35 e, soprattutto, 36 della Costituzione.
Lavoratori che non dispongono di conto corrente bancario/postale o carta
Ci sarà solo un modo possibile per continuare, seppure indirettamente, a pagare lo stipendio in contanti: mandare il lavoratore in banca o alle poste a ritirare i soldi versati. In questo caso infatti lo stipendio viene pagato in contanti solo in apparenza: il datore di lavoro o committente lo versa in modo tracciabile in banca o alle poste. Si tratta quindi di un’agevolazione pensata soprattutto per andare incontro ai lavoratori che non dispongono di conto o carta.
Il divieto di stipendio in contanti inoltre riguarda tutti i dipendenti, a prescindere dal tipo di lavoro prestato e dal tipo di contratto (quindi non solo quelli assunti a tempo indeterminato ma anche determinato, parasubordinati, soci di cooperative etc).
Settori che restano esclusi dall’ obbligo
Nel settore privato resteranno escluse dal divieto di contanti solo alcune rarissime eccezioni come le borse di studio e lavoratori domestici (con l’eccezione di colf e badanti che lavorano almeno quattro ore giornaliere presso lo stesso datore di lavoro potranno essere ancora pagate in contanti).
Le disposizioni non trovano applicazione nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni (in senso stretto), che sono quelle identificate dall’art. 1, comma 2, del D.L.vo n. 165/2001 (Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, Enti locali, le ASL, le Comunità montane, le Istituzioni Universitarie e le scuole di ogni ordine e grado, l’ARAN, le Agenzie ex D.L.vo n. 300/1999, ecc.).