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Commette reato chi indica spese mediche false nel modello 730

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Chi detrae spese mediche false nel modello 730, commette il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Si tratta di prestazioni irreali e pertanto il documento che le certifica costituisce il falso che integra il delitto tributario.

Lo ha chiarito la Cassazione, con la sentenza n.17126/2018 (depositata il 17/04/2018).

Il fatto

La vicenda, approdata in cassazione, riguarda un gruppo di persone accusate di associazione per delinquere finalizzata all’evasione fiscale. In pratica redigevano false fatture sanitarie che venivano utilizzate nelle dichiarazioni di contribuenti. Le dichiarazioni così beneficiavano di una detrazione Irpef del 19% che per metà veniva corrisposto dai singoli contribuenti agli organizzatori.

Secondo la difesa i falsi documenti erano stati creati in un momento successivo all’elaborazione ed alla trasmissione della dichiarazione e non erano stati registrati nelle scritture obbligatorie, trattandosi di soggetti privati.

Secondo la cassazione la condotta di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o documenti per operazioni inesistenti presenta una “struttura bifasica”, in cui la dichiarazione, quale momento conclusivo, dà vita a un falso contenutistico, mentre la condotta preparatoria, cioè la registrazione o detenzione a finì di prova dei documenti che costituiranno il supporto della dichiarazione, può avere ad oggetto documenti sia contenutisticamente falsi, perché emessi da altri in favore dell’utilizzatore, sia materialmente falsi, in quanto contraffatti o alterati.

In relazione al mezzo fraudolento di cui l’agente si avvale per l’indicazione di elementi passivi fittizi, la lettera dell’art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000 si riferisce a “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e l’art. i, lett. a), dello stesso decreto legislativo specifica che tale locuzione inerisce a quelle fatture o documenti che sono emessi a fronte di operazioni in tutto o in parte inesistenti, o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

Gli altri documenti che vengono in rilievo sono, dunque, quelli aventi, ai fini fiscali, valore probatorio analogo alle fatture (documenti tipici fiscali previsti espressamente dall’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972); tali sono, ad esempio, oltre alle ricevute fiscali e simili, quei documenti da cui risultino spese deducibili dall’imposta, come le ricevute per spese mediche o per interessi su mutui, le schede carburanti etc. (documenti che attualmente non devono essere allegati alla dichiarazione dei redditi ma conservati per eventuali controlli da parte degli uffici).

Qualora le spese documentate siano deducibili dall’imposta, l’indicazione in dichiarazione di tali spese non effettuate o effettuate in misura inferiore integra la condotta del reato, per il fatto che si fanno apparire elementi passivi fittizi.

La dichiarazione fraudolenta prevista e sanzionata dall’art. 3 d.lgs. n. 74 del 2000 è costruita invece, essenzialmente, come frode contabile, alla quale deve associarsi un quid pluris artificioso non tipizzato (diverso dall’uso dì fatture o altri documenti falsi, integrante l’ipotesi di cui al precedente art. 2), ma, comunque, caratterizzato dall’idoneità ad indurre in errore e ad impedire il corretto accertamento della realtà contabile del soggetto che presenta la dichiarazione annuale d’imposta, come:

  • la tenuta di un sistema parallelo di contabilità “nera”;
  • la vendita “a nero” organizzata in locali contigui a quelli aziendali;
  • la voluta “confusione” di ricavi provenienti da fonti diverse in modo da impedire dì
    individuare il titolare degli stessi;
  • lo spostamento artificioso di redditi tra soggetti rivolto a fare figurare come percepiti da terzi redditi propri del contribuente.

La condotta fraudolenta, alla quale si riconnette la oggettiva infedeltà delle poste indicate in dichiarazione, postula la volontà del contribuente di ostacolare l’accertamento di elementi che abbiano determinato l’occultamento di un reddito imponibile.

Va, inoltre, chiarito che “soggetti diversi da quelli effettivi” sono quei soggetti che, in realtà, non hanno preso parte all’operazione e sono invece indicati nel documento.

Non vi è alcun fondamento razionale, tuttavia, nell’affermare che l’ipotesi non ricorre quando i soggetti che appaiono emittenti del documento siano addirittura inesistenti (trattandosi, ad esempio, di nomi di fantasia) o siano soggetti che nessun rapporto abbiano mai avuto con il contribuente che utilizza il documento medesimo; anche in tal modo, infatti, il contribuente fa apparire di avere speso somme in realtà non sborsate e pone così in essere una lesione del bene giuridico protetto, costituito dal patrimonio erariale.

Né elementi in senso contrario possono trarsi dalla prospettata correlazione con la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, perché il delitto di cui all’art. 2 di detto d.lgs. (nella cui struttura la condotta si incentra sul momento dichiarativo) è posto a tutela dell’interesse patrimoniale dello Stato a riscuotere ciò che è fiscalmente dovuto e nei limiti in cui è dovuto; mentre nel reato di cui all’art. 8 oggetto della tutela appare piuttosto la funzione di accertamento del tributo.

Non trova, dunque, alcun appiglio normativo l’affermazione secondo la quale la fattispecie descritta e sanzionata dall’art. 2 sarebbe connessa ad una specifica violazione consistente nella trasgressione dei propri obblighi da parte del soggetto autorizzato ad emettere documentazione avente rilievo probatorio ai fini tributari.

Sul piano patrimoniale dell’interesse alla percezione del tributo effettivamente dovuto, infine, non può razionalmente considerarsi sussistente una maggiore pericolosità in sé del falso contenutistico rispetto al falso materiale.

(Fonte: Ilsole24ore)

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