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Impresa familiare – Imputazione degli utili al convivente

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L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione 26 ottobre 2017, n. 134/E, fornisce alcuni chiarimenti interpretativi in merito all’imputazione degli utili dell’impresa familiare al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente.

Qual’è il corretto trattamento fiscale?

L’istante, titolare di ditta individuale, ha chiesto di sapere il corretto trattamento fiscale della quota che intenderebbe imputare, a titolo di partecipazione agli utili ed a decorrere dal 2017, alla convivente di fatto, in esecuzione dell’atto modificativo di impresa familiare del 29 novembre 2016 ed in applicazione dell’istituto regolato dall’art. 230-ter cod. civ. La legge n. 76/2016 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) ha introdotto l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (art. 1) e disciplinato il regime delle convivenze di fatto, la cui definizione è contenuta nell’art. 1, comma 36.

Conviventi di fatto

Si intendono conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

Legge Cirinnà

La legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) ha apprestato forme di tutela differenziate tra le parti dell’unione civile ed i conviventi, estendendo solo alle prime le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi nonché nei contratti collettivi.

La Legge Cirinnà è intervenuta, altresì, sulla disciplina dell’impresa familiare, in una duplice direzione:

  • da un lato, estendendo alle unioni civili la disciplina civilistica dell’impresa familiare ex art. 230-bis del cod. civ.;
  • dall’altro, introducendo nel codice civile l’art. 230-ter, rubricato “Diritti del convivente”, recante la regolamentazione delle prestazioni di lavoro rese in favore del convivente “more uxorio”.

Tale nuovo articolo riconosce al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato.

Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

Elementi costitutivi dell’impresa familiare

Elementi costitutivi della fattispecie delineata dall’art. 230-ter cod. civ. sono:

  • il rapporto di convivenza;
  • lo svolgimento stabile di prestazioni di lavoro;
  • l’esistenza di un’impresa cui risulti connessa la prestazione lavorativa.

Il regime tributario dell’impresa familiare

Il regime tributario dell’impresa familiare è regolato dall’art. 5, comma 4, del TUIR, che stabilisce che tali redditi sono imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.

Detta imputazione proporzionale non può superare complessivamente il 49% dell’ammontare del reddito risultante dalla dichiarazione annuale dell’imprenditore ed è subordinata al rispetto delle condizioni elencate dalla medesima norma. L’imputazione proporzionale con il limite del 49% presuppone a sua volta la partecipazione all’impresa di un soggetto avente lo status di “familiare”, ovvero il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.

Poiché, l’art. 5, comma 4, del TUIR richiama solo l’art. 230-bis cod. civ. e non anche l’art. 230-ter cod. civ., sembrerebbe esclusa l’applicazione ai conviventi more uxorio della norma fiscale richiamata.

Tuttavia, il riferimento alla “partecipazione agli utili dell’impresa familiare” spettanti al convivente, contenuto nell’art. 230-ter cod. civ., consente di applicare anche a questa fattispecie i principi generali che hanno portato alla collocazione dell’impresa familiare all’interno dell’art. 5 del TUIR.

Pertanto, ai fini fiscali, al convivente di fatto del titolare dell’impresa familiare il reddito dell’impresa spetta in misura proporzionale alla quota di partecipazione agli utili della medesima. Necessario, a tal fine, che tra i due soggetti sussista un rapporto di convivenza e che il convivente svolga in maniera stabile le prestazioni di lavoro all’interno dell’impresa familiare.

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