Le indagini finanziarie sono le attività di verifica, da parte dell’Agenzia delle Entrate, dirette all’acquisizione e all’utilizzo di dati, notizie e documenti che risultino da un rapporto, continuativo o anche occasionale, intrattenuto dal contribuente con una Banca, con Poste italiane S.p.a. o con un altro intermediario finanziario, al fine di procedere ad un accertamento tributario basato su dati finanziari che potrebbero essere rilevatori di componenti reddituali.
In sostanza, se la movimentazione bancaria non trova riscontro nelle scritture contabili o, comunque, non è oggetto di prova contraria, scatta la presunzione che trasforma il versamento/prelievo non giustificato in ricavo.
Dopo numerosi interventi di giurisprudenza e di prassi, da ultimo, il Legislatore, con il D.L. 193/2016, ha modificato l’art. 32, D.P.R. 600/1973, limitando l’applicabilità delle presunzioni legali sui prelevamenti bancari non giustificati se l’importo giornaliero prelevato supera 1.000 euro e, comunque, 5.000 euro mensili e confermando quanto già statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 228/2014, in merito al fatto che per i possessori di reddito di lavoro autonomo, i prelevamenti non giustificati non cagionano alcun effetto presuntivo a prescindere dai limiti indicati.
1. Indagini finanziarie – Generalità
Le indagini finanziarie rappresentano un’attività amministrativa diretta all’acquisizione e all’utilizzo di dati, notizie e documenti che risultino da un rapporto – continuativo o anche occasionale – intrattenuto dal soggetto verificato con una Banca, con Poste Italiane S.p.a. o con un altro intermediario finanziario, al fine di procedere ad un accertamento tributario basato su dati finanziari che potrebbero essere rilevatori di componenti reddituali.
L’esame delle movimentazioni finanziarie del soggetto indagato consente di risalire alle operazioni economiche da lui poste in essere e, dunque, di individuare i componenti di reddito a lui imputabili.
La L. 311/2004 (cd. Legge Finanziaria 2005) è intervenuta in materia di indagini e ha riformulato gli artt. 32, D.P.R. 600/1973 e 51, D.P.R. 633/1972, al fine di estendere – in termini soggettivi, oggettivi e procedurali – la portata delle indagini finanziarie, prevedendo, in estrema sintesi:
- l’ampliamento dei soggetti destinatari delle richieste di accertamenti bancari;
- l’ampliamento delle informazioni acquisibili attraverso gli accertamenti bancari;
- l’estensione dei poteri di rettifica ed accertamento nei confronti dei titolari di reddito di lavoro autonomo;
- la riduzione dei tempi della procedura e nuove modalità di scambio delle informazioni da esperire, in prospettiva, esclusivamente per via telematica.
ELEMENTI ACQUISIBILI DAGLI UFFICI
- Conto corrente
- Conto deposito titoli e/o obbligazioni
- Conto deposito a risparmio libero/vincolato
- Rapporto fiduciario ex L. 1966/1939
- Gestione collettiva del risparmio
- Gestione patrimoniale
- Certificati di deposito e buoni fruttiferi
- Portafoglio
- Conto terzi individuale/globale
- Dopo incasso
- Cessione indisponibile
- Cassette di sicurezza
- Depositi chiusi
- Contratti derivati su crediti
- Carte di credito/debito
- Garanzie
- Crediti
- Finanziamenti e mutui
- Fondi pensione
- Patto compensativo
- Finanziamento in pool
- Partecipazioni
- Altro rapporto
- Operazioni fuori conto, quali prodotti bancoposta (es. vaglia postale, assegno vidimato, servizio Eurogiro, Sevizio MoneyGram)
Tuttavia, il vero slancio alle indagini finanziarie è stato apportato dal D.L. 223/2006 con l’attuazione di un’Anagrafe dei rapporti bancari che, grazie al suo continuo aggiornamento, consente ai funzionari del Fisco di consultare preliminarmente gli intermediari finanziari con cui il soggetto verificato intrattiene rapporti e di chiedere loro, previo il rilascio di apposita autorizzazione da parte del Direttore Regionale per l’Agenzia delle Entrate o del Comandante Regionale per la Guardia di Finanza, dati e notizie in merito a determinati periodi di imposta e, conseguentemente, di accertare maggiori ricavi sulla base dei versamenti e dei prelevamenti non giustificati.
ARCHIVIO DEI RAPPORTI BANCARI
L’Archivio dei rapporti bancari contiene, per ciascun rapporto continuativo oggetto di comunicazione, le informazioni riguardanti:
- tipologia del rapporto;
- data di apertura e di eventuale chiusura;
- dati identificativi, compreso il codice fiscale del titolare o contitolare;
- denominazione dell’operatore finanziario con il quale si intrattiene il rapporto
Di norma, le indagini finanziarie sono utilizzate per la determinazione del reddito d’impresa e di lavoro autonomo, nonostante un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità le ammetta anche per altre tipologie di reddito, come per i redditi di lavoro dipendente.
In particolare, le indagini finanziarie possono essere eseguite nei confronti di tutti i contribuenti, anche delle persone fisiche non titolari di redditi d’impresa o di lavoro autonomo e non tenuti alle scritture contabili, potendosi tuttavia considerare per questi soltanto le operazioni bancarie di versamento, laddove per gli esercenti attività d’impresa rilevano anche i prelevamenti.
2. Presunzioni legali relative delle movimentazioni non giustificate
Le presunzioni che derivano dalle movimentazioni bancarie sono legali relative: ne consegue che il contribuente può fornire la prova contraria.
Dal punto di vista operativo, per l’Amministrazione finanziaria è sufficiente dimostrare il fatto che sta alla base del ragionamento presuntivo e che quindi il versamento o il prelievo che si presume non trovi riscontro nella contabilità.
A questo punto, spetta al contribuente la prova circa l’infondatezza della pretesa che consiste, alternativamente, nel dimostrare che il movimento è in realtà transitato nelle scritture contabili oppure che esso è fiscalmente irrilevante.
In giurisprudenza è costante l’orientamento secondo cui la prova contraria deve essere analitica, dovendo il contribuente confutare ogni singola movimentazione, non potendosi limitare ad affermazioni astratte.
In ogni caso, ai fini della prova contraria sono comunque utilizzabili dichiarazioni di terzi che devono però essere supportate da ulteriori elementi probatori volte a dimostrare, ad esempio, che il versamento è stato funzionale alla restituzione di un prestito in precedenza concesso.
Per quanto concerne i prelevamenti, invece, il contribuente, anche se la legge si limita a stabilire che il contribuente verificato deve indicarne il beneficiario, la giurisprudenza ha sancito che non è sufficiente limitarsi ad indicare un’ipotetica persona destinataria del prelievo, occorrendo ulteriori elementi.
3. Evoluzione giurisprudenziale e normativa
Fino ad ottobre 2014, in forza dell’art. 32, co. 1, n. 2, D.P.R. 600/1973 i dati risultanti dalle movimentazioni bancarie venivano posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostrava di averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto a imposta o non dimostrava la loro irrilevanza; alle stesse condizioni venivano altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indicava il soggetto beneficiario e sempreché non risultavano dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni.
In sostanza, le movimentazioni bancarie non trovanti riscontro nella contabilità o che, comunque, non erano oggetto di giustificazione ad opera del contribuente davano luogo a presunzioni legali relative, comportando l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente, in taluni casi molto difficile da assolvere.
Pertanto, se la movimentazione bancaria non trovava riscontro nelle scritture contabili o comunque non era oggetto di prova contraria, scattava per tutti i contribuenti la presunzione che trasforma il versamento/prelievo non giustificato in ricavo.
La presunzione sui prelievi non giustificati operava anche per i titolari di reddito di lavoro autonomo e, dunque, anche per i professionisti.
Successivamente, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 228/2014, ha dichiarato incostituzionale la norma riportata dal predetto art. 32, D.P.R. 600/1973 in quanto la presunzione secondo cui il prelievo non giustificato corrisponde ad un compenso non dichiarato non è sostenibile per i titolari di reddito di lavoro autonomo. La ratio posta alla base del meccanismo presuntivo del prelievo implica, infatti, che il contribuente preleverebbe somme dal conto corrente per acquistare merce destinata alla successiva rivendita, dalla quale emergerebbero ricavi presunti. Pertanto, secondo i giudici della Consulta, non è logico e credibile ipotizzare che professionista compri merce in nero per poi rivenderla in nero.
Così, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, per i possessori di reddito di lavoro autonomo non sussiste più alcuna presunzione relativa di maggiori compensi derivante dai prelievi, mentre rimane comunque valida, per tutti i contribuenti, sia titolari di reddito di lavoro autonomo che di reddito di impresa, quella sui versamenti non giustificati.
Quanto statuito dai giudici della Consulta è stato poi successivamente recepito dalla Corte di Cassazione, che, nei processi pendenti, ha rinviato tutte le controversie in merito alla valenza delle presunzioni relative sui prelevamenti in capo ai lavoratori autonomi ai Collegi di merito. Tale presunzione, infatti, è lesiva del principio di ragionevolezza, nonché della capacità contributiva siccome il meccanismo presuntivo, fondato per l’attività imprenditoriale, non lo è altrettanto per l’attività svolta dai lavoratori autonomi che si caratterizza per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Ciò, nello specifico, vale in misura massima per le professioni liberali ove l’attività svolta ha natura prettamente intellettuale.
Infine, seppur con una isolata pronuncia, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16440/2016 ha statuito di fatto l’inesistenza, per gli autonomi, della presunzione relativa anche per i versamenti. In particolare, secondo questa ultima sentenza, per i possessori di reddito di lavoro autonomo, la presunzione legale non può più operare sia per i prelevamenti che per i versamenti non giustificati.
Pertanto, in caso di accertamento, spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare che i prelevamenti siano stati utilizzati per acquisti inerenti alla produzione del reddito, e che i versamenti corrispondano, invece, ad importi riscossi nell’ambito dell’attività professionale.
4. Irrilevanza dei prelevamenti per gli autonomi e relativi chiarimenti
Da ultimo, il Legislatore, in sede di conversione del D.L. 193/2016, apportando delle modifiche all’art. 32, D.P.R. 600/1973, senza intervenire minimamente sull’effetto presuntivo derivante dai versamenti non giustificati, che, ora come allora, rimane sia per i possessori di reddito di impresa sia per gli autonomi, ha espunto il riferimento ai compensi, di fatto recependo la sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014 e, sempre sui prelievi, ha introdotto un limite di 1.000 euro giornalieri, e, comunque, di 5.000 euro mensili al di sotto del quale la presunzione non può operare.
In particolare, secondo la nuova versione dell’art. 32, in vigore dal 3 dicembre 2016, come modificata dal D.L. 193/2016 «sono altresì posti come ricavi (…), se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili».
In sostanza, al fine di disciplinare normativamente le direttive impartite in più occasioni dalla stessa Amministrazione finanziaria con cui si invitavano i propri Uffici ad applicare le presunzioni relative sui prelevamenti di piccola entità secondo logiche di proporzione e ragionevolezza, esonerando dunque i contribuenti dal fornire una precisa prova in proposito, attesa la riconducibilità di tali operazioni alle normali esigenze personali e familiari, il Legislatore ha posto limiti quantitativi precisi per l’inoperatività della presunzione in oggetto, probabilmente nel tentativo di rendere automatica l’esenzione dall’onere della prova gravante sul contribuente e, contestualmente, di privare il Fisco di quella discrezionalità tecnica che potrebbe determinare disomogeneità di trattamento a livello nazionale.
Secondo una prima e letterale interpretazione della nuova disposizione normativa sembrerebbe, dunque, che l’onere probatorio gravante sul contribuente per i prelevamenti bancari operi soltanto quando gli importi sono superiori a 1.000 euro giornalieri e a 5.000 euro mensili: in sostanza, essendo necessaria la contemporanea sussistenza di entrambe le condizioni (di soglia), se un contribuente prelevasse tutti i giorni 999 euro, secondo tale interpretazione, non sarebbe onerato da alcuna giustificazione, perché per tutti i prelevamenti non opererebbe la presunzione, rimanendo così potenzialmente giustificati anche i quasi 30.000 euro al mese di prelievi.
Tuttavia, come anche precisato dal Comando Generale della Guardia di Finanza, il significato da attribuire alla nuova disposizione è diverso.
Con la direttiva 7.4.2017, n. 1095446, infatti, le Fiamme Gialle hanno avuto modo di precisare che, alla luce delle predette novità, d’ora in avanti, in caso di indagini finanziarie, la soglia di 5.000 euro non rappresenta una franchigia sui prelevamenti da parte dei titolari di reddito di impresa, da riconoscersi in ogni caso come riconducibili ad esigenze personali e, quindi, esclusi da presunzione di imponibilità, atteso che essa rappresenta invece una limitazione posta a favore del Fisco.
L’utilizzo della congiunzione e dell’avverbio «e, comunque,» fra le due soglie di 1.000 e 5.000 euro utilizzata dal Legislatore porta, infatti, a ritenere che tra le medesime esista un rapporto di progressività, nel senso che il limite mensile di 5.000 euro esprimerebbe un tetto massimo per i prelevamenti giornalieri per importi inferiori a 1.000 euro. La franchigia di 5.000 euro, pertanto, non sarebbe un bonus sui prelevamenti da riconoscersi in ogni caso, bensì una limitazione a tutela dell’interesse fiscale.
Detta interpretazione, suffragata anche dalla scelta lessicale dell’avverbio «comunque» per rafforzare il nesso di correlazione tra la soglia giornaliera e quella mensile, sembra meglio contemperare le opposte esigenze di semplificazione e di mantenimento di un adeguato presidio fiscale.
Secondo la Guardia di Finanza, pertanto, il contribuente continua a essere gravato dall’onere di indicazione del soggetto beneficiario per i prelevamenti, sempreché non risultino dalle scritture contabili: eccedenti la soglia giornaliera di 1.000 euro, seppur inferiori a quella di 5.000 euro mensili; di importo inferiore a 1.000 euro, che nel complesso superino la soglia mensile di 5.000 euro.
In altri termini, nel caso in cui, nel corso di un solo mese, venga superato il limite di 5.000 euro, la presunzione legale si applica su tutti i prelevamenti eccedenti quest’ultima soglia.
Ne consegue che se il contribuente preleva più di 1.000 euro al giorno, questi è comunque tenuto a giustificare l’intera somma prelevata, a pena di recupero a tassazione dell’intero prelevamento; mentre, se il contribuente preleva, ad esempio, in 6 giorni diversi 950 euro al giorno, per un totale di 5.700 euro, è ragionevole ritenere, per come formulata testualmente la norma, anche in forza del senso da attribuire a quel «comunque» interposto tra le due soglie, che l’onere probatorio «scatti» soltanto per la parte eccedente i 5.000 euro e, in caso di carenza di prove, la ripresa a tassazione possa riguardare soltanto l’importo extra soglia, ovvero, nel caso di specie, 700 euro, applicandosi soltanto su questa parte la presunzione in oggetto.
Peraltro, nell’esporre la predetta interpretazione, il Comando Generale ha precisato che tale posizione è stata assunta a seguito di preliminare confronto con la Direzione Centrale Accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
Infine, con la risposta n. 48 fornita nel corso di Telefisco 2017, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la predetta norma è irretroattiva riguardando l’attività istruttoria e non quella di accertamento e che, dunque, non possono essere fatte valere nei contenziosi in corso.
Di contro, sempre in tema di indagini finanziarie, rimane fermo che per i possessori di reddito di lavoro autonomo, i prelevamenti non giustificati non cagionano alcun effetto presuntivo a prescindere dai limiti innanzi indicati e rimane l’effetto presuntivo per i versamenti non giustificati, senza alcun limite quantitativo. Ne consegue che, se l’accertamento si basa, ad esempio, su prelievi che sono contenuti nei 5.000 euro mensili, pur rimanendo valide soltanto le presunzioni derivanti dai versamenti non giustificati, il contribuente titolare di reddito di impresa non è tenuto ad adempiere all’onere della prova contraria, non operando così la presunzione relativa e spettando all’Ufficio accertatore il compito di provare l’evasione.
Fonte: Frizzera