All’indomani dell’entrate in vigore delle nuove disposizioni in materia di falso in bilancio, Assirevi, con il Quaderno 20/2016, si propone di fornire utili elementi per un corretto inquadramento del falso in bilancio.
Secondo i revisori, essendo la maggior parte delle poste di bilancio oggetto di valutazione, l’eventuale esclusione delle valutazioni stesse dal profilo oggettivo delle false comunicazioni sociali (e, in particolare, del falso in bilancio) finirebbe per ridurre significativamente l’ambito di applicazione della norma.
Nuovo reato di false comunicazioni sociali
Dal 15 giugno 2015 sono entrate in vigore le nuove disposizioni in materia di falso in bilancio per le società chiuse e per quelle quotate previste rispettivamente dagli artt. 2621, c.c. e 2622, c.c. come modificati dagli artt. 9 e 11, L. 27 maggio 2015, n. 69 recante «Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio». La legge ha inserito poi nel Codice civile due nuovi articoli, il 2621 bis e il 2621 ter, che prevedono la riduzione della pena per i fatti di lieve entità (il primo) e la non punibilità per i fatti di particolare tenuità il secondo.
False comunicazioni nelle società chiuse
Passando all’analisi delle false comunicazioni sociali nelle società chiuse, l’art. 2621, c.c. dispone ora che: «Fuori dai casi previsti dall’articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi». (1)
La condotta criminosa prevede quindi che il fatto sia compiuto al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, siano esposti «consapevolmente» fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero, o omessi fatti materiali rilevanti. L’aspetto più rilevante è l’eliminazione espressa del riferimento alle «valutazioni estimative» tra i fatti rilevanti ai fini dell’integrazione del reato.
Il reato è classificabile come «reato proprio» in quanto i soggetti attivi del reato (amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione di documenti contabili societari, sindaci e liquidatori) sono espressamente individuati dalla norma e configura un reato di pericolo perseguibile d’ufficio e a seguito di querela per le società non quotate sotto la soglia di fallibilità.
Rispetto al passato sono state eliminate le soglie di rilevanza delle violazioni ai fini della punibilità del reato ancorate prima al risultato economico di esercizio (superiore al 5%) o al patrimonio netto (superiore 1%) o alla valutazione estimativa corretta (superiore al 10%).
La pena della reclusione è stata poi innalzata da uno a 5 anni rispetto ai 2 (di arresto) previsti nella disposizione sostituita. Nel nuovo dettato normativo è stata aggiunta la precisazione che la condotta deve essere «concretamente» idonea ad indurre altri in errore e non quindi solo potenziale. Inoltre, sempre a livello terminologico, si fa solo riferimento ora ai «fatti materiali rilevanti» in luogo delle «informazioni» lasciandosi intendere una maggiore specificità della condotta rispetto a quanto era richiesto dalla normativa ora novellata.
Entrata in vigore
La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali si applica ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della legge anticorruzione (e dunque dal 15 giugno 2015) e ciò in virtù del principio dell’irretroattività della legge penale più sfavorevole al reo, contenuto nell’art. 2, co. 4, c.p. Sul punto occorre considerare che la dottrina ritiene che il reato si consideri commesso – istantaneamente – nel momento in cui avviene la «comunicazione» delle false informazioni ai soci e al pubblico e dunque con l’approvazione del bilancio (2) ovvero, secondo altri autori, al momento del deposito (che è anteriore) del bilancio presso la sede della società(3) per come indicato dalla previsione di cui all’art. 2429, co. 3, c.c. o ancora, secondo altra parte della dottrina, al momento del deposito (che è successivo) del bilancio presso il Registro delle Imprese rilevando a tal fine l’aspetto pubblicistico del deposito.(4) Per quanto riguarda le altre comunicazioni diverse dal bilancio il momento consumativo coincide con il deposito (ovvero con la trasmissione o altra modalità di informazione) previsto dalla legge.(5)
Chiarimenti di Assirevi
L’intervento dei revisori offre un contributo all’interpretazione della norma con particolare attenzione a quella che deve essere la fase di redazione del bilancio al fine di non incorrere nel reato. L’attenzione si concentra quindi sui concetti di «errore materiale» e di «valutazioni estimative» che, se ricorrenti, possono, unitamente al concorso degli altri elementi del reato (presupposto soggettivo), dar luogo alla responsabilità degli amministratori.
Errore materiale
Il bilancio deve essere predisposto seguendo il complesso di norme e principi che ne disciplinano la redazione (cd. framework contabile di riferimento). Solo in caso di mancato rispetto di tale framework il bilancio può essere considerato non corretto. Da un punto di vista contabile, può ritenersi che un bilancio non fornisca un quadro fedele della situazione economico-patrimoniale di una società quando detto documento risulti viziato da errori qualificabili come «significativi» sulla base di un criterio non solamente quantitativo, ma anche di natura qualitativa. Vari richiami in tal senso sono contenuti sia nei Principi contabili nazionali (Oic 29) sia in quelli internazionali (Ias/Ifrs). Sulla base di tali documenti il concetto di significatività, altrimenti qualificata nella prassi come «materialità», integra l’elemento oggettivo del reato di false comunicazioni sociali allorché il bilancio sia viziato da un errore «materiale», tale da indurre i destinatari del documento a modificare le loro decisioni economiche.
Valutazioni estimative
Il bilancio ha per obiettivo l’esposizione di valori e il processo valutativo rappresenta un elemento intrinseco nel concetto di bilancio stesso. Ricordiamo che l’attività che sta alla base della preparazione del bilancio consiste nella seguente serie di operazioni:
- individuazione e selezione dei fatti economici-amministrativi;
- analisi dei fatti amministrativi;
- determinazione in valore di conto dei fatti amministrativi;
- identificazione dei conti da imputare;
- registrazione dei fatti amministrativi;
- predisposizione del bilancio di verifica dei valori registrati per trasformarli da valori di conto in valori di bilancio;
- preparazione dei prospetti componenti il bilancio.
In tale contesto, la valutazione rappresenta lo strumento che consente di misurare, esporre e comunicare il fatto materiale (rilevante). Sotto un profilo tecnico, non è dunque possibile esporre un qualunque fatto relativo alla gestione aziendale senza che i relativi effetti siano tradotti in valori rilevabili nel bilancio (attraverso la relativa valutazione).
Ne consegue, da un lato, che «un bilancio è essenzialmente il risultato di un processo di stima. Nessun elemento patrimoniale, tranne il denaro in cassa in valuta di conto liberamente disponibile, è esente da stime» (Oic 29, par. 26) e dall’altro lato, che ogni attività valutativa si basa su, e non può prescindere da, un fatto materiale.
Nell’ottica di minimizzare l’incidenza dei profili di soggettività nelle fasi di valutazione, è bene considerare che per alcune tipologie di valutazioni, esistono specifici principi di riferimento emanati da organismi indipendenti, tecnicamente abilitati e riconosciuti, ed anche, in alcuni casi, da standard setter (es. Principi italiani di valutazione, Principi contabili nazionali, Ias/Ifr). Per altri tipi di valutazioni sono invece riscontrabili elementi «oggettivi» di riferimento (es: valori di mercato).
In definitiva, secondo Assirevi, quel che pare importante per definire se una valutazione possa ritenersi ragionevole (e quindi «corretta») è la «qualità» del processo seguito per la sua determinazione, realizzato nell’ambito del sistema controllo interno dell’impresa e alla luce del contesto informativo disponibile, oltreché nel rispetto dei principi emanati in materia. Interessante evidenziare che nel documento in commento viene sottolineata la necessità di dare comunque informativa delle stime e del processo di rilevazione seguito nella nota integrativa seppur con le limitazioni di sintesi che deve caratterizzare tale allegato al bilancio.
Contrasto giurisprudenziale
All’indomani dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni,(6) un primo processo ha beneficiato della depenalizzazione delle «valutazioni estimative» dal reato di false comunicazioni sociali.(7) Più precisamente i giudici di legittimità hanno applicato la norma, sotto questo profilo più apparentemente favorevole (in termini di non rilevanza penale delle valutazioni estimative), a fatti compiuti prima dell’entrata in vigore delle nuove norme qui in commento e ciò in applicazione del principio del favor rei. Con la sentenza della Cassazione 33774/2015 è stata quindi annullata la condanna per bancarotta a 6 anni e 9 mesi inflitta in secondo grado agli imputati. La pronuncia è intervenuta, a seguito di un rinvio richiesto dai difensori a cavallo tra l’abrogazione della vecchia normativa e l’entrata in vigore della nuova, a cui i giudici hanno dato immediata applicazione.
È poi da registrarsi la recentissima Sentenza 12 gennaio 2016, n. 890 della Corte di Cassazione che ha elaborato il seguente principio: «(…) nell’art. 2621 c.c. il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non vale a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi che sono anche essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati. Infatti, qualora intervengano in contesti che implichino accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o, comunque, tecnicamente indiscussi, anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere ad una funzione informativa e possono quindi dirsi veri o falsi». La sentenza sottolinea che il bilancio è composto in larga parte da enunciati estimativi o valutativi, frutto di operazioni concettuali che associano a determinate componenti un dato numerico nell’espressione di un giudizio di valore. «Non può allora dubitarsi – osserva la sentenza – che nella nozione di rappresentazione dei fatti materiali e rilevanti (da intendersi nelle accezioni anzidette) non possano non ricomprendersi anche e soprattutto le valutazioni (…) quando violino criteri di valutazione predeterminati».
La Suprema Corte, discostandosi dalla precedente pronuncia, ha precisato che le valutazioni continuino ad essere penalmente sanzionate in tutti i casi in cui siano state rese in difformità ai principi contabili Oic e a tutte le altre previsioni in materia. Diversamente non dovrebbero rilevare ai fini penali.
Sulla scia della prima sentenza (33774/2015) si è posta poi la successiva pronuncia della Corte di Cassazione 22 febbraio 2016, n. 6916 che, in sostanza, utilizza le medesime argomentazioni per escludere dall’ambito di applicazione degli artt. 2621 e 2622, c.c. il cd. «falso valutativo». Il contrasto giurisprudenziale sin qui delineato è recentemente approdato alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione a cui evidentemente spetterà l’ultima parola, che, sulla base delle conclusioni rassegnate dalla Procura generale prima della decisione, dovrebbero confermare la continuità, con la precedente normativa, delle valutazioni estimative in conformità ai precetti contenuti nella Sentenza 890/2015.
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Falso in bilancio (G. Chiametti) Guida ai controlli fiscali n. 5-2016, pag. 58
(1) La formulazione previgente era: «Salvo quanto previsto dall’articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali previste dalla legge, dirette ai soci o al pubblico, espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni ovvero omettono informazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene, in modo idoneo ad indurre in errore i destinatari sulla predetta situazione, sono puniti con l’arresto fino a due anni. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardino beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi. La punibilità è esclusa se le falsità o le omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. La punibilità è comunque esclusa se le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all’1 per cento. In ogni caso il fatto non è punibile se conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10 per cento da quella corretta. Nei casi previsti dai commi terzo e quarto, ai soggetti di cui al primo comma sono irrogate la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’impresa».
(2)Si veda Dolcini-Marinucci, cit., 7057 ss.
(3)Meoli, «Rebus decorrenza per il falso in bilancio».
(4)Morselli, «Il reato di false comunicazioni sociali», Napoli, 1974, 175.
(5)Foffani, «La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali» in Giarda – Seminara, «I nuovi reati societari: diritto e processo», Padova, 2002, 258.
(6)Il Corriere della sera 17 giugno 2015 ha dato notizia dell’udienza del 12 giugno 2015.
(7)La stampa ha dato grande risalto a questo procedimento. Si tratta del caso che ha interessato il gruppo Hdc, nel procedimento per bancarotta fraudolenta per valutazioni estimative in bilancio nei confronti di L. C. e A. C.
Da: Riviste 24