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Interessi passivi deducibili solo con contratto scritto

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Ai fini della deducibilità degli interessi passivi afferenti a finanziamenti concessi da terzi, il contratto deve avere data certa e contenere il saggio d’interesse.

È quanto stabilito dalla Cassazione, con la sentenza n. 4615/2016.

L’Agenzia delle Entrate aveva contestato la deduzione delle somme a titolo di interessi passivi su debiti verso società collegate, da parte di una società, come emergeva dalla contabilità aziendale, in quanto la stessa non aveva prodotto alcun giustificativo a riguardo.

Secondo i giudici di legittimità, concordi alla tesi erariale, mancava il riferimento all’esistenza di un contratto di finanziamento tra le due società, alla sua sottoscrizione, ad opera delle parti, in data certa e, soprattutto, ai suoi contenuti, con particolare riguardo al tasso applicato, ai fini della doverosa verifica della deducibilità degli interessi passivi imputati al conto “interessi passivi su debito v/soc. collegate”.
In sostanza, per la Suprema Corte, ai fini della deducibilità degli interessi passivi corrisposti in forza di un finanziamento ricevuto, è necessario che il contribuente esibisca il contratto di finanziamento regolarmente sottoscritto dai contraenti e provvisto di data certa, dal quale si rinvenga la misura del saggio di interesse, in modo tale che l’Amministrazione finanziaria possa verificare che gli interessi siano stati dedotti nella misura contrattualmente prevista.
Si può quindi affermare che è sempre opportuno predisporre un contratto scritto relativamente al finanziamento, al quale attribuire data certa e nel quale indicare tutti gli elementi essenziali dell’operazione, compreso il saggio di interesse, le modalità di calcolo e i termini di restituzione, così da evitare eventuali contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, in relazione alla deduzione degli interessi passivi. Ciò si può realizzare con la sottoscrizione congiunta delle parti del classico contratto di finanziamento, oppure mediante scambio di corrispondenza commerciale, tipicamente con plico raccomandato, in modo da conferire data certa alle missive (oggi si potrebbe agevolmente utilizzare la PEC, firmando digitalmente i documenti).
Se il finanziamento intercompany è fruttifero (esente IVA), la registrazione è dovuta in caso d’uso (con pagamento dell’imposta di registro fissa) sia con atto redatto per corrispondenza che per scrittura privata non autenticata.
Se il finanziamento è infruttifero, fuori campo IVA, la registrazione risulta obbligatoria esclusivamente in caso d’uso nella sola ipotesi in cui il finanziamento sia redatto per corrispondenza (a norma del combinato disposto degli artt. 1 della Tariffa, parte II, e 9 della Tariffa, parte I, allegate al DPR 131/86), laddove la stipula per scrittura privata non autenticata comporti il sorgere dell’obbligo di registrazione in termine fisso, con applicazione dell’imposta di registro del 3% (cfr. Cass. 24268/2015).
Se il finanziamento è fatto da una persona fisica a una società, il contratto va registrato in termine fisso con imposta di registro al 3%, mentre se avviene sulla base di uno scambio di corrispondenza, la registrazione (sempre al 3%) è prevista solo in caso d’uso.

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