Si configura il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, non quello di bancarotta preferenziale, in capo all’amministratore che si appropria delle somme di denaro per compensare dei crediti vantati nei confronti della società poi fallita.
È quanto emerge dalla sentenza 5 giugno 2015, n. 24324, della Quinta Sezione Penale della Cassazione, che ha confermato la condanna inflitta dalla Corte d’Appello all’amministratore di una società fallita, sostenendo che, la questione non attiene tanto ad una normale operazione di pagamento o prelievo dalle casse societarie, quanto piuttosto ad un atto illecito, consistente nella appropriazione di somme destinate alla società. Tale condotta, in quanto costituisce indebita appropriazione di somme spettanti a terzi, integra il reato di cui all’articolo 646 del codice penale, che nel caso di specie rimane assorbito dalla più grave violazione fallimentare” (cfr. Cass., Sez. 5 pen., n. 37298/10).
L’amministratore “non può invocare la compensazione, al fine di escludere la bancarotta fraudolenta patrimoniale, quando si appropria di somme destinate alla società, soggetto terzo dotato di propria personalità giuridica” (cr. Sez. 6 pen., n. 17616/08). Del resto, “consentire la operatività della compensazione con debiti di natura illecita comporterebbe l’assurda conseguenza di istigare l’amministratore, che sia creditore della società, al compimento di reati”.