L’azienda italiana che intende commercializzare beni nei confronti di un soggetto stabilito nell’Unione europea aderente al regime speciale per le “piccole imprese” (con soglie differenti nei diversi Stati Ue) potrebbe trovarsi di fronte a fondati dubbi circa il trattamento IVA dell’operazione, dovuti alla possibile assenza:
– di un numero identificativo IVA della controparte (alcuni Stati non richiedono l’apertura di una posizione IVA per tali soggetti);
– dell’iscrizione al VIES della controparte.
Infatti, a seconda che la controparte abbia natura di soggetto passivo IVA ovvero di “privato”, mutano i criteri impositivi agli effetti dell’IVA.
La disciplina comunitaria prevede il regime di esenzione (tradotto a livello interno come “non imponibilità”) per le “cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo (…) che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni”.
Diversamente, per le cessioni effettuate nei confronti di un operatore qualificato come “privato” ai fini dell’IVA, le operazioni hanno natura “interna”, con applicazione delle regole impositive nazionali. Per individuare la soggettività passiva di un cessionario che opera in regime delle “piccole imprese”, il criterio-base è dato dall’art. 9 della direttiva 2006/112/CE, che definisce quale soggetto passivo ai fini IVA “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo e dai risultati di detta attività”.
Alla luce della definizione comunitaria, l’operatore in regime IVA delle “piccole imprese” deve intendersi munito di piena soggettività passiva d’imposta.
Ancorché sia stato riconosciuto lo status di soggetto passivo IVA agli operatori in regime delle “piccole imprese”, gli acquisti effettuati in Italia presso operatori esteri in regime “speciale”non sono soggetti ad IVA (a differenza degli acquisti effettuati presso la generalità dei soggetti passivi comunitari). Difatti, a norma dell’art. 2, par. 1, lett. b) della direttiva 2006/112/CE, sono soggetti ad IVA esclusivamente “gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro da un soggetto passivo (…), quando il venditore è un soggetto passivo (…) che non beneficia della franchigia per le piccole imprese”. La disposizione trova recepimento nell’art. 38, comma 5, lett. d) del DL 331/93, che estromette dalla disciplina degli scambi intracomunitari “gli acquisti di beni se il cedente beneficia nel proprio Stato membro dell’esonero disposto per le piccole imprese”.
L’esclusione dal novero degli acquisti intracomunitari non trova riscontro, però, nell’assoggettamento a IVA delle corrispondenti operazioni dal lato attivo. La disciplina IVA relativa alle cessioni intracomunitarie non prevede, per i soggetti in regime delle “piccole imprese”, alcuna deroga normativa al trattamento di non imponibilità ex art. 41 del DL 331/93. In tal senso dovrebbe essere letto anche l’art. 283, par. 1, lett. c) della direttiva 2006/112/CE, che esclude dal regime IVA per le piccole imprese “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo che non è stabilito nello Stato membro in cui è dovuta l’IVA”, rendendo così applicabili gli ordinari criteri impositivi.
Ulteriore conferma è data dall’Agenzia delle Entrate (circ. n. 36/2010), secondo cui un soggetto passivo italiano che cede beni ad un operatore di un altro Stato Ue sottoposto al regime delle piccole imprese “effettua una cessione intracomunitaria, per la quale l’imposta è dovuta nelloStato membro di destinazione del bene” e “quindi, emette fattura senza addebito d’imposta”.
Più in generale, la soggettività passiva, nell’ambito delle operazioni intra-Ue non può essere subordinata all’iscrizione al VIES, adempimento non previsto in sede comunitaria, sulla cui sussistenza si riscontrano perplessità da parte della dottrina. Difatti, “nessuna norma indica, tra le condizioni sostanziali di una cessione intracomunitaria, tassativamente elencate (tra le quali lo status di soggetto passivo, anche non comunitario, dell’acquirente), l’obbligo di disporre di un numero di identificazione IVA: tale obbligo è un requisito formale, che non può mettere in discussione il diritto all’esenzione all’IVA qualora ricorrano le condizioni sostanziali” (Corte di Giustizia Ue, causa C-273/11).
Infine, il cedente nazionale, per le operazioni nei confronti di soggetti Ue in regime delle piccole imprese, è tenuto alla compilazione degli elenchi INTRASTAT (circ. n. 36/2010). Dal punto di vista operativo, si ritiene che, in assenza di un codice identificativo IVA del cessionario, il cedente nazionale debba indicare, nel modello INTRA 1-bis:
– nella colonna 2, il codice ISO dello Stato del cessionario;
– nella colonna 3, una serie di zeri (in tal senso la Nota Ministeriale, Dipartimento Dogane, n.1798/1996).