Diventa sempre più difficile dedurre spese di pubblicità e sponsorizzazione sia per l’accoglienza che viene riservata dall’Amministrazione finanziaria in sede di un eventuale controllo sia per le varie prese di posizione della giurisprudenza in merito all’argomento.
La disposizione in esame introduce, in sostanza, ai fini delle imposte sui redditi, una presunzione assoluta circa la natura di tali spese, che vengono considerate, sempre nel limite del predetto importo, comunque di pubblicità, pertanto integralmente deducibili per il soggetto erogante.
Circolare n. 21/E del 22 aprile 2003 – La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n.21/E del 22 aprile 2003 ha tuttavia chiarito che la fruizione dell’agevolazione in esame è subordinata alla sussistenza delle seguenti condizioni:
1. i corrispettivi erogati devono essere necessariamente destinati alla promozione dell’immagine o dei prodotti del soggetto erogante;
2. deve essere riscontrata, a fronte dell’erogazione, una specifica attività del beneficiario della medesima.
Il differenziale tributario tra quanto dedotto da un’impresa e quanto imponibile in capo a un’associazione sportiva dilettantistica (per opzione, ex L. 398/1991) ispira tuttavia, molto spesso, la costruzione di operazioni pubblicitarie e/o di sponsorizzazione effettive, ma sovrafatturate e parzialmente inesistenti, ovvero generatrici di vantaggi fraudolenti.
L’Agenzia delle Entrate ha pertanto più volte cercato di porre riparo, incrociando gli elenchi clienti di una serie di associazioni con le dichiarazioni delle società che le sponsorizzavano, e ha inoltre contestato l’antieconomicità delle spese, ritenendole di sovente “inutili” ai fini del conseguimento degli obiettivi aziendali.
Questo è accaduto soprattutto in relazione ad associazioni e società sportive dilettantistiche per le quali sono concesse sponsorizzazioni fino a 200mila euro. Giacché, come si è detto, si presume che le spese di questo tipo siano sponsorizzazioni fino a 200mila euro, l’Amministrazione Finanziaria non potendo “riqualificare” le spese di sponsorizzazione ne ha contestato l’antieconomicità, dunque il carattere fittizio.
Laddove l’azienda stia affrontando delle spese di sponsorizzazione, soprattutto se di importo ingente, risulta preferibile:
– redigere in forma scritta l’accordo di sponsorizzazione fornendo ogni dettaglio in merito all’oggetto della sponsorizzazione, alle modalità di espletamento, alle prestazioni a carico delle parti, ecc.;
– conservare tutta la documentazione ritenuta utile a prova del fatto che gli obblighi contrattuali siano stati effettivamente adempiuti (conservando, per esempio, manifesti, striscioni, magliette riportanti il logo dello sponsor, riprese televisive, ecc.), al fine di disporre di quanto necessario a provare, in sede di eventuale contestazione, l’effettività della sponsorizzazione;
– fornire prova della ratio della sponsorizzazione effettuata e del suo legame con il programma economico imprenditoriale, specificando l’obiettivo perseguito con la spesa in questione ed evidenziando ilritorno commerciale che si spera di ottenere. In tal modo viene facilitata l’Amministrazione Finanziaria, prima, e i giudici, poi, nell’individuazione di ogni elemento utile a qualificare la sponsorizzazione quale spesa di pubblicità.
Cassazione ordinanza n. 14252 del 23 Giugno 2014 – Per la Cassazione le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti dell’art. 108 Tuir in quanto accrescono il prestigio dell’impresa, sempre che non se ne provi un ritorno commerciale diretto. Questo è quanto emerge dall’ordinanza n. 14252 del 23 Giugno 2014, nella quale la Corte, allineandosi all’indirizzo prevalente, evidenzia che le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti dell’art.108 Tuir e del D.M. 19 novembre 2008, poiché in grado di accrescere il pregio dell’impresa, laddove il contribuente non documenti che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta speranza di ritorno commerciale.
La giurisprudenza ha infatti individuato nell’aspettativa di ritorno commerciale il criterio determinante al fine di distinguere le spese di rappresentanza da quelle di pubblicità: mentre le prime sono contraddistinte da un’aspettativa di un ritorno commerciale indiretto, considerato come rafforzamento delle possibilità di sviluppo dell’impresa con la crescita del merito e dell’immagine, quelle di pubblicità, invece, sono volte a un ritorno commerciale diretto con l’aumento, più o meno immediato, delle vendite.