La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18757 del 5.9.2014 si è recentemente occupata del tema dei limiti all’emendabilità della dichiarazione dei redditi che, non essendo un atto negoziale, è, in linea di massima, modificabile dal contribuente.
Nella fattispecie in esame un contribuente aveva ricevuto una cartella di pagamento dopo avere erroneamente indicato nella dichiarazione un debito Iva che, in realtà, avrebbe dovuto essere registrato in sospensione di imposta in quanto non ancora incassato.
Il contribuente aveva impugnato l’atto avanti la Commissione Tributaria Provinciale della Campania che, tuttavia, aveva respinto il ricorso evidenziando che la dichiarazione era stata emendata oltre i termini di legge; la pronuncia è stata confermata in secondo grado sulla base dell’assunto che l’art. 6 del d.p.r. n. 633/1972 offre una scelta tra l’effettuare il pagamento dell’imposta al momento di eseguire la prestazione o al momento di conseguire il corrispettivo e, di conseguenza, “l’avere inserito nella dichiarazione originariamente prodotta anche l’Iva non ancora incassata…non può essere un errore bensì il libero esercizio di una facoltà fissata dal legislatore che pertanto non può essere revocata attraverso una dichiarazione integrativa”.
Il contribuente ha proposto ricorso in Cassazione eccependo, tra l’altro, un’erronea interpretazione dell’art. 6 del d.p.r. n. 633/1972 in quanto, contrariamente a quanto affermato dal Collegio di secondo grado, nel compilare la dichiarazione dei redditi non si sarebbe avvalso di alcuna facoltà, bensì sarebbe semplicemente incorso in un mero errore materiale.
La Cassazione, tuttavia, non ha condiviso tale interpretazione ed ha respinto il ricorso.
Ed invero, secondo la Suprema Corte, la dichiarazione dei redditi è, in linea di principio,atto emendabile e ritrattabile, in quanto non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile a seguito dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria (cfr. Cass. sentenza n. 15063/02).
Tale facoltà di modifica, tuttavia, non è assoluta, in quanto non è comunque consentito al contribuente revocare e sostituire la precedente dichiarazione; il potere di modifica del contribuente deve quindi ritenersi circoscritto all’indicazione dei dati relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive e negative, che integrino errori materiali, quali errori di calcolo o errate liquidazioni degli importi, o formali, quali quelli inerenti l’esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale compilare la posta.
La Corte di Cassazione ha precisato che, poiché in gioco vi è anche l’esigenza di salvaguardare la pretesa creditoria del Fisco, l’emendabilità della dichiarazione dei redditi, che costituisce la base di partenza della quantificazione del dovuto all’Erario, è consentita nei limiti n cui “ne sia apprezzabile la coerenza rispetto alla sua qualificazione iniziale ovverosia laddove l’esercizio del potere di modificare il risultato della dichiarazione non esorbiti dall’essere essa un’esternazione di pensiero priva di efficacia volitiva”.
Di conseguenza, nel caso in cui il legislatore subordini per esempio la cessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’Erario, la dichiarazione assume per quella parte il valore di atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che tale errore fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione.
In particolare, non rientra tra i poteri di modifica del contribuente il caso in cui lo stesso eserciti una facoltà di opzione riconosciutagli dalla norma tributaria, come nel caso oggetto della fattispecie in esame, che integrerebbe, secondo la Suprema Corte, una manifestazione di autonomia negoziale: “Tale opzione – si è detto – integra esercizio di un potere discrezionale di scelta nell’an e nel quando riconducibile ad una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto che è diretta ad incidere sulla obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento all’imposta”.
Tale principio era già stato affermato dalla medesima Cassazione nella sentenza n. 7294/2014 con riferimento all’ipotesi un tempo disciplinata dall’art. 102 del Tuir che attribuiva al contribuente il potere di scegliere di portare in diminuzione dal reddito dichiarato le perdite maturate nei precedenti cinque anni oppure di riportare nelledichiarazioni dei redditi, relative ai successivi anni d’imposta, le perdite, verificatesi non anteriormente al quadriennio, non utilizzate per la compensazione.